La fermentazione malolattica del vino
La fermentazione lattica detta anche fermentazione malolattica, è una fase estremamente importante nella produzione di alcuni tipi di vini che puntano ad evolversi nel tempo, ed è utile per la longevità del prodotto ottenuto. E’ una fase ben distinta dalla fermentazione alcolica e conseguente ad essa, che generalmente insorge dopo qualche giorno con metodo indotto, e dopo qualche mese in caso di fermentazione malolattica spontanea.
Di cosa parleremo:
1. Come avviene la fermentazione
La fermentazione lattica è un processo naturale che sopraggiunge al termine della fermentazione alcolica, e si distingue per lo sviluppo di anidride carbonica, anche se in quantità sensibilmente più ridotta rispetto alla fase alcolica. Il nodo chiave è la reazione di decarbossilazione dell’acido malico in acido lattico.
La concentrazione dell’acido malico nel mosto d’uva prima, e nel vino successivamente, è variabile da 1 gl a 8gl. Tale concentrazione dipende da diversi fattori, tra cui la fascia climatica di raccolta e produzione, la composizione del terreno e la maturità del frutto.
La malolattica avviene ad opera di batteri lattici che come i lieviti sono presenti naturalmente nel mosto, anche se inizialmente le condizioni per la loro proliferazione sono avverse. La velocità di moltiplicazione dei vari ceppi di lieviti è tale da costringere i batteri a regredire, fino alla quasi totale scomparsa: le popolazioni che rimangono sono selezionate e più resistenti rispetto alla fase iniziale.
Il percorso di sviluppo dei lieviti si compie con il consumo quasi totale degli zuccheri presenti nel mosto e con l’autolisi, processo quest’ultimo che produce le sostanze nutritive utili ai batteri lattici. Quando la concentrazione di batteri supera una certa soglia, si palesa la trasformazione che procederà fino all’esaurimento dell’acido malico, a meno che non avvengano problemi legati a cambiamenti di ph o di temperatura.
2. Quali sono le condizioni che influenzano la fermentazione malolattica
I batteri lattici vengono influenzati principalmente da temperatura, concentrazione di etanolo, ph e anidride solforosa. I principali ceppi di batteri che intervengono sono: Lactobacillus, Pediococcus e Oenococcus.
La temperatura ottimale compresa tra i 20°C e i 22°C è un parametro che deve sempre essere monitorato; scendere al di sotto di tali valori inibisce il processo.
L’etanolo deve essere il più basso possibile in percentuale, anche se il fattore determinate risulta essere il ph, che deve essere compreso tra 3 e 4. I valori più alti sono più indicati, mentre più si abbassa il ph più la fermentazione risulta difficile.
Questo parametro incide molto sulla qualità del vino. Diversi studi hanno dimostrato come i batteri Oenococcus siano determinanti per la complessità del vino, e si moltiplicano con maggiore velocità a ph alti.
Un fattore di rischio da evitare, che conferisce maggiore stabilità al vino, è la mancata selezione dei batteri indigeni, poiché a ph superiori si sviluppano bene anche altri ceppi di batteri che favoriscono la crescita di lattobacilli e pediococchi.
Per controllare questo processo esistono diversi metodi, sia con misurazioni in cantina che in laboratorio, che misurano la concentrazione e il rapporto tra acido lattico e malico, con lo scopo di tenere sotto controllo il ph. Una volta individuate le soglie da raggiungere, si può agire variando i parametri di acidità, temperatura, etanolo o solforosa.
3. A cosa serve l’Anidride Solforosa (SO2)
L’anidride solforosa è un gas incolore che lega con soluzioni acquose, ed è facilmente individuabile dal suo caratteristico odore tendente al bruciato che se presente in quantità notevoli è alquanto fastidioso. Questo gas viene comunemente utilizzato per le sue particolarità antiossidanti e antibatteriche, ma va detto che esiste una rigida regolamentazione per prevenirne l’uso eccessivo.
Non in tutti i vini la fermentazione malolattica è desiderata, poiché gli obiettivi del vignaiolo o le caratteristiche intrinseche del vitigno non lo richiedono, pertanto a volte è necessario inibire il processo. In questi casi il metodo maggiormente utilizzato è l’aggiunta di anidride solforosa al termine della fermentazione alcolica.
Legandosi con il mosto, l’anidride solforosa si divide in una parte fissa e una libera, che rimane all’interno del contenitore in cui è conservato il vino. Entrambe le parti sono importanti per la stabilizzazione del vino: la prima come visto serve a inibire i processi fermentativi, mentre la seconda agisce da conservante, evitando l’ossidazione e contribuendo a eliminare effetti sgradevoli come odori di muffe.
4. Qual è il risultato della fermentazione malolattica
Dopo la degradazione dell’acido mallico (acido dicarbossilico) in acido lattico (monocarbossilico), il risultato è la diminuzione sostanziale dell’acidità del vino con il conseguente miglioramento delle proprietà organolettiche. Si passa dall’odore pungente e dal gusto croccante dell’acido malico alla morbidezza e rotondità dell’acido lattico.
Dal punto di vista biochimico si ha una evoluzione aromatica e gustativa, che interessa la sintetizzazione di sostanze volatili e di composti, i cui confini non sono ancora perfettamente definiti.
Una delle trasformazioni maggiormente studiate riguarda l’acido citrico che dà origine al diacetile, responsabile della complessità del bouquet di un vino ampliandone notevolmente le caratteristiche sensoriali, e conferendogli il caratteristico aroma lattico-burroso.
Questa caratteristica è particolarmente ricercata nei vini rossi e in alcuni vini bianchi e dal punto di vista sensoriale fa sì che gli aromi primari lascino spazio ai terziari; i profumi più floreali e varietali lasceranno quindi il posto a vaniglia, cuoio e cacao.
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